LO SPiEDO SERBO

Il mio post direttamente dalla Serbia citava “Dalla Serbia con furore”, beh mai titolo fu così azzeccato !!!

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Al mio arrivo mi sono trovato di fronte ad un maialino appeso (senza vita) con delle fresche frasche di noce tutt’attorno per proteggerlo dagli insetti.

Bene, premetto che io sono onnivoro e che adoro la carne, ma devo anche ammettere che non mi reputo un “cuor di leone”, anzi se dovessi uccidere per cibarmi di carne certamente diventerei vegetariano con l’inserimento solo del pesce. Il professor Berrino asserisce che da un grandissimo studio effettuato negli stati uniti è emerso che questa scelta di alimentazione sarebbe la più equilibrata e sana.

Ma torniamo al nostro incontro con la cucina Serba.

Il padre della mia compagna, Dida per gli amici, ci ha fatto la massima espressione della loro cucina: il maialino da latte allo spiedo.

Eccoci quindi alle prese con questa immagine del povero, piccolo, rosa maialino appeso.

Dopo averlo eviscerato e privato degli eventuali peli, lo ha infilzato su una barra di ferro appuntita, con l’aiuto della figlia, cioè la “mia dolce Danijela”.

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Una volta infilzato, ha creato dei piccoli fori sui bordi della pancetta, ha tagliato un ramo di noce, l’ha spellato per bene e se n’è servito per chiudere la pancia in maniera esemplare.

Un gran bel massaggio con il sale, quasi fosse uno scrub e poi al suo posto sopra la brace.

Ebbene si non è fatto con i fuoco vivo, bensì sopra delle braci di legna fossile che viene recuperata dal fondo dei fiumi e torsoli di pannocchie.

Dalle 6 del mattino aveva fatto ben 3 ore di fuoco con il continuo battere le braci per creare un substrato alto più o meno 30 cm di puro calore.

Il meccanismo dello spiedo manco a dirlo fatto in casa dal fratello Dejan, era davvero curioso: un motorino a basso voltaggio che faceva girare una serie di ingranaggi, il tutto montato su dei cerchi d’auto come base. Un vero spettacolo di recupero.

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Per condimento oltre al sale, “il suocero” ha fatto un miscuglio di strutto e birra posto sulla brace a sciogliere.

Il “pennello” come vedrete dalle foto, é un altro ramo di noce questa volta più lungo, con arrotolato uno straccio. Direi che anche questo è stata una grande genialata, vorrei vedere voi trovare in commercio un pennello lungo 150 centimetri.

Ultimo ma assolutamente non meno importante, la birra agitata e spruzzata stile champagne sul podio per nebulizzare e ammorbidire con la dovuta delicatezza la cotica del maiale.

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Il colore che ha assunto la meravigliosa, croccante, profumata e indimenticabile pelle è di uno splendido arancione scuro.

Il sapore è molto semplice, nessuna spezia, niente pepe ne aglio, niente eccetto il sale (lo strutto non fa testo essendo lo stesso del maiale), quindi solo la grande qualità della carne allevata come una volta a due case di distanza.

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Termino questo mio racconto con i peperoni piccanti, arrostiti sulla brace, privati accuratamente della pelle e conditi con olio aceto e niente po’ po’ di meno che con un trito al coltello di 10 spicchi d’aglio fresco.

Vi assicuro che a vederlo fare l’ultimo dei miei pensieri sarebbe stato di cibarmi di quell’intruglio a prova di Dracula, ebbene per fare onore allo chef di casa (io non riesco a dire di no a nulla che abbia cotto una persona più anziana di me) non solo li ho assaggiati ma me ne sono pappato 3 o 4 tutti d’un fiato. Ecco, a quel punto ho capito la scelta di Dida nel non mettere spezie o altro nel maiale, questi peperoni facevano da contrappeso alla dolcezza del suino.

Una domenica e uno spiedo indimenticabili.

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