SOTTO LA CAMPANA PEKA

El fogolare, il caminetto e la stufa, erano nelle dimore di un tempo il centro della casa.

D’inverno tutto girava attorno al calore delle fiamme che scaturivano dalla legna, la cottura dei cibi, le chiacchiere alla sera, due panni stesi ad asciugare.

Ho ancora perfettamente nelle narici l’odore della casa della mia nonna materna, la Rosina, quell’odore de “brustolin”, fuliggine, il classico odore delle case di una volta.

Appesa con una catena che si calava dall’alto dentro alla canna fumaria, pendeva un “caliero”, un grosso pentolone di rame con l’acqua che bolliva in cui ci si cuoceva di tutto: zuppe, brodi, la polenta. Sulle braci ci si scottava una fetta di salame fresco da mangiare con un po’ di radicchio mentre sotto la brace arrostiva qualche patata.

In Dalmazia invece l’usanza c’era e c’è ancora oggi: la cottura “sotto la campana” la Peka.

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Un grosso pentolone nero, di ghisa massiccia che veniva appoggiata vicino alla fiamma del camino con le braci sopra e tutt’attorno.

In cuxina è arrivata appunto da li, un super regalo della mia compagna Danijela, e ieri sera finalmente l’abbiamo inaugurata!!!

Al suo interno ci si può cuocere di tutto, dall’agnello o il capretto con le patate (la nostra ricetta) al polipo, dal pane al maiale, tutto sempre abbinato alle verdure, solitamente patate e carote, ortaggi che reggono le cotture rilassate.

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Le tempistiche sono appunto lente, ogni tanto un giro di pentola ma sempre chiusa, al suo interno si scatena una magia, la via di mezzo tra l’arrosto e la cottura a vapore, tutto si cucina alla perfezione.

La rosolatura è magnifica, ma mai secca appunto per l’effetto campana che condensa gli umori e i vapori.

L’unico patimento è appunto il “non aprite quella pentola” specialmente la prima volta: che cosa sta succedendo? Si brucia? Sarà cotta? Si attacca? Un calvario culinario.

Bene, all’apertura della campana il classico “ohhhhhhhhh!!!!!”

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Spettacolare appunto, magnificamente rosolato, in alcuni punti un accenno di bruciacchiato che ben si sposava con qualche patata o carota che contrastava con la rosolatura della carne.

Il colore della reazione di Maillard (la rosolatura) non trova corrispondenza in nessun pantone, è un rosso/arancione/giallo/dorato indefinibile, è la meraviglia e basta!

La ricetta di casa Marchesini è presto detta: a rosolare con un po’ d’olio di oliva extravergine il rosmarino, l’aglio, carote, un pezzo di zenzero fresco, la cura di fare andare l’olio su tutta la parete del pentolone per evitare che poi si attacchi.

Il capretto a rosolare, non molto basta dargli una sigillatura sommaria, sale qb, un bicchiere d’acqua, chiudere la campana e via, vicino vicino alla fiamma del camino, ricopriamo con le braci e ci possiamo sedere a fianco con un bel libro e un bicchier di buon vino rosso.

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Apro una parentesi sul vino: abbiamo abbinato un fantastico Pinot nero, della Cantina di Paolino, della fattoria sociale Massignan a Brendola. Che dire, elgante come tutti i buoni Pinot nero, corposo quanto basta, ma questo vino va al di là dell’analisi organolettica, è più un analisi umana, in questa cantina prendono parte dalla vendemmia all’imbottigliamento dei ragazzi in stato di disagio fisico, psichico o lavorativo (cito testualmente il retro etichetta). Nel Pinot i bordi del disegno in etichetta vengono ripassati con pennarelli diversi appunto da questi ragazzi creando un effetto ottico meraviglioso. Anche le etichette vengono attaccate a mano dagli stessi, gran bel progetto!!!

Bene, con l’amore nel cuore e la pancia sazia, vi auguro… #bontutto