L’ANATRA DEL ROSARIO

Che la macelleria Nogara dei fratelli Tiziana, Emiliano e Giorgio sia da tempo tra i nostri fornitori preferiti non è un segreto.

Da qualche tempo, oltre all’amicizia ci ha legato l’interscambio delle nostre professionalità in quanto ho avuto il piacere di creare la nascita della loro linea di prodotti cotti, VIA NOGARA, “la buona tavola pronta da portar via”.

Oltre al naming, ho curato tutto l’aspetto visivo, logo, sito, la brochure con le relative foto scattate in cucina dai loro genitori con tanto di stufa a legna degna di un re (ho voluto scattare i prodotti “usciti” direttamente dai loro packaging, senza preparazioni ad hoc) e il sito.

Ora tocca ai social network e per la precisione Facebook: abbiamo deciso che 1 volta al mese condivideremo con cuxina un loro prodotto interpretandolo di volta in volta con il nostro stile.

Oggi è toccato all’anatra, “a ottobre ghe xe el rosario” mi dice Tiziana ed eccoci quindi con la ricetta dell’anitra al melograno.

Abbiamo già parlato in passato di questa ricorrenza veneta “l’arna del rosario o bigoli con l’arna”, per i più curiosi alla fine del post metterò un testo sulla versione che mi hanno passato dal retro bottega di Sovizzo.

Veniamo alla ricetta, devo dire che è leggermente lunga ma niente di difficile e il risultato vi ripagherà alla grande.

Partiamo col lessare il volatile, intero, partendo dall’acqua fredda, una foglia di alloro, un paio di carote, uno scalogno con infilzato un chiodo di garofano e una gamba di sedano.

La faremo bollire una ½ oretta, NON BUTTATE IL BRODO!

Una volta “lessata” andremo ad appoggiarla delicatamente in un tegame o meglio ancora nella “tecia de tera” con un filo d’olio uno scalogno e uno spicchio d’aglio, facciamola rosolare con calma e una volta bella calda andremo a sfumare con il succo di due melograni, diciamo un bicchiere.

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A seguire per bagnarla usiamo del vino bianco, l’anitra è tendenzialmente molto grassa, specialmente quelle mute, e ben si sposa con sapori acidi e freschi come appunto il melograno e il vino bianco di buona acidità.

Una volta evaporato anche l’alcol andremo a coprire e continuare la cottura, lenta, per un paio d’ore avendo l’accortezza di controllarla e al bisogno bagnarla con il brodo di prima.

È il momento di passarla in forno per asciugarla, diciamo che un’oretta a 160 gradi andranno benone, lasciatela coperta e anche qui di tanto in tanto un mestolino di brodo faranno si che non si attacchi sul fondo.

Siamo arrivati all’ora di cena, togliamo il coperchio e portiamo il forno su ventilato a 200° per una decina di minuti, l’optimum sarebbe: toglierla dal tegame e adagiarla nella teglia del forno per creare l’effetto croccante tutt’attorno.

Un’altra chicca sarebbe quella di spennellarla tutta di miele mescolato al succo di melograno prima del trattamento ventilato, noi però non l’abbiamo provato per ragioni di tempo (lasciando l’intruglio nel suo vasetto ;( e quindi non garantisco l’effetto finale.

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Con le frattaglie del volatile abbiamo fatto un piatto di pasta: lasagnette con farina integrale Chilometro Cinque dell’amico Marco Schiavo impastate a mano da Mattia.

In breve il procedimento: olio buono e un paio di filetti d’acciuga, uno scalogno e uno spicchio d’aglio, fuoco basso a sciogliere i filetti. Aggiungiamo il fegato dell’anitra e lo facciamo cuocere per 1 minuto, togliamo l’aglio e lo scalogno e passiamo al minipimer il tutto a creare una crema color nocciola chiaro.

A questo punto ho aggiunto delle “trombette da morto” o “finferle nere”, “gambe secche” insomma dei funghi decisamente brutti e altrettanto buoni, precedentemente cotti in padella con i gambi del prezzemolo aglio e olio.

Aggiungiamo all’intruglio un paio di mestolini di brodo dell’arna e aggiungiamo dei cuoricini di pollo tagliuzzati, facciamo cuocere il tutto per 3 minuti.

Alla fine aggiungeremo una manciata di fegatini di pollo anch’essi tagliuzzati a piccoli pezzi.

1 minuto di cottura e stop! Il sugo da sogno è pronto, la bontà è assolutamente infinita!!!

Il tocco da maestro o meglio il tocco della tradizione, la cottura della pasta, neanche a dirlo, nel brodo dell’anitra… vi assicuro che ha il suo perché!

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Che dire, Tiziana con mio immenso piacere e forse esagerando un po’ l’ha definita una cena stellare, non so ma sicuramente il sapore e la consistenza dell’anitra era paradisiaca, dolce e leggermente acidula, morbida al punto giusto.

Le lasagne (leggermente troppo cotte per i miei gusti) sicuramente erano un piatto da gran gourmet!

Inutile a dirlo che questa cena o pranzo che ben si voglia è adatto a tutto il periodo autunno/inverno in compagna di un buon bicchiere di vino rosso e magari con vista sul caminetto acceso.

 

 

PER I PIÙ CURIOSI:

Strano a dirsi, ma per spiegare il senso del proverbio “arna lessa e bigolo tondo a Rosario contenta il mondo” bisogna andare indietro nel tempo fino alla battaglia di Lepanto.

Era il 7 ottobre 1571 quando al largo del golfo di Corinto si affrontarono le flotte della Lega Santa e dell’Impero Ottomano.

La vittoria dell’alleanza allontanò l’incubo turco dagli orizzonti della Repubblica di Venezia, che aveva dato il maggior contributo in navi e uomini all’impresa.

A ricordare l’evento papa Pio V istituì la festa della Madonna della Vittoria, esternando il favore celeste grazie al quale il mondo cristiano aveva ottenuto quella liberazione.

Fu il suo successore, Gregorio XIII, a modificarne il nome in festa della Madonna del Rosario per sottolineare la potenza della preghiera mariana che si era levata al cielo da tutta la cristianità.

Era una festa che i veneti avevano nella massima considerazione, onorata in ogni famiglia con un piatto che diventerà quasi di precetto.

Protagonista era l’anatra novella, bell’e pronta proprio ai primi di ottobre.

Il volatile veniva lessato e nel suo brodo, giallo e grasso, venivano cotti i bigoli, la pasta asciutta veneta per antonomasia.

Bigoli da bigo, che sta per baco, e dunque, per chi non li conosca, una pasta simile d’aspetto ai vermicelli, ma grossolani e di tutt’altra consistenza.

L’impasto richiede infatti farina di grano tenero, oggi con eventuale aggiunta di grano duro perché tengano meglio la cottura, e un certo numero d’uova, magari d’anatra perché il colore risulti più intenso.

Per la trafilatura si usava, e in famiglia si usa ancora, il bigolaro, un torchio manuale montato su un cavalletto, con un manubrio sul quale far leva per forzare la pasta in un pistone.

Il condimento era semplicissimo: burro fuso e salvia, nel quale rosolare il trito del fegatino e del ventriglio; come tocco distintivo, nella cucina nobile, la cannella, caratteristica di tanti intingoli veneti.

La carne lessata veniva servita dopo la pasta, con il cren, una salsa piccante ottenuta dalla radice di rafano grattugiata e amalgamata nell’aceto.

Questa, la tradizione: oggi, invece, il più delle volte si prepara un vero e proprio ragù d’anatra, partendo dalla carne macinata, con o senza concentrato di pomodoro, col risultato di ottenere una sorta di piatto unico.

Quanto all’epicentro della tradizione gastronomica, si parla del contado di Thiene e di Zanè in particolare, dove in effetti nel fine settimana della prima domenica d’ottobre, si tiene una Festa dei bigoi co’ l’arna.