iL RiSOTTO ALLE ERBETTE

E finalmente la primavera è arrivata, o almeno in teoria: le piogge continuano a rendere decisamente poco primaverile il paesaggio e il clima.


Infatti oggi, all’indomani di un splendido weekend soleggiato e caldo che preannunciava il definitivo giro di boa al brutto tempo, piove ed è freschetto.
Eccomi quindi in casa ascoltando del buon jazz a raccontarvi il risotto a noi molto caro.

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Per noi intendo io&Dani, la mia dolce metà, che gode nel raccogliere i frutti della terra, funghi, erbette e frutta. Adora passeggiare per prati e boschi a fare incetta di tutto e di più. Arrivata a casa io piacevolmente mi metto ai fornelli e sperimento.
Dalla sua passeggiata domenicale ha portato a casa i due profumi principi della stagione, l’aglio orsino, che si presenta come una lunga foglia verde e carnosa, (allium ursinum) e l’aglio pippolino, una sorta di cipollottino selvatico (allium vineale).

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Tagliandoli finissimi e mettendoli in infusione con dell’ottimo olio buono siculo ho creato due oli aromatizzati da usare a piacere per condire bruschette, insalate, pesce o come in questo caso come base per la tostatura del riso.
Sempre dalla passeggiata sono arrivati, tanoni (Tamus communis) leggermente amarotici ma di gran carattere, i bruscandoli che sono i germogli del luppolo selvatico anche loro leggermente amarotici e i carletti (Silene vulgaris) forse la più dolce e pregiata delle erbe selvatiche.
Ben lavate, sminuzzate, spadellate in padella per 2 minuti con del burro di malga, una presa di sale e aggiunte in pentola dopo la tostatura del riso, daranno inizio al risotto più sano dell’anno.

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Si narra che i nostri “vecchi” raccogliendo e cibandosi con frittate e risotti con tutti questi germogli amari si depurassero dall’inverno appena finito.
L’aglio orsino prende appunto il suo nome dalle scorpacciate che sono ghiotti fare gli orsi al risveglio del loro letargo per il medesimo impiego.
Ma tornando alla ricetta, è presto fatta, un brodo vegetale (ma anche solo acqua bollente), un paio di pezzettini di burro per la mantecatura fuori fiamma e a piacere una manciata di formaggio vecchio sempre in mantecatura.
Apro una parentesi su quest’ultimo ingrediente, il re della tavola è indiscutibilmente il Parmigiano Reggiano, in eterna gara con il nostro Grana Padano; in verità a leggere il disciplinare non v’è dubbio alucno, poi alla fine è sempre una questione di gusti, ma sul valore ahimè non c’è gara il primo resta sua maestà. Ma la mia parentesi vergeva proprio su questo argomento: si considerano sempre e solo i blasonati parmigiano, grana e pecorino, io invece sono un gran sostenitore dei piccoli produttori, specialmente se d’alpeggio.

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Quando e se d’estate vi capita di andare a passeggiare in qualche malga di montagna comprate uno stravecchio e provatelo grattuggiato al posto dei sopra citati formaggi costosi, vi assicuro che hanno il loro perché!!
Finendo il racconto non mi resta altro che allegarvi una foto “del parecio” in esterno per il nostro pranzetto in collina… tutto il resto è noia 😉

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